| I conti cominciano a tornare, e devo dire che questa é una soddisfazione non da poco .. Abbiamo visto il ruolo importantissimo della figura di Orfeo nel passaggio dalla costellazione del Cigno alla Croce del segno di Costantino. Abbiamo anche visto che la Croce del "segno" di Costantino ha un simbolismo fortemente apocalittico, legato al "signum victoriae" che annuncia il ritorno di Cristo - Agnello col giudizio universale. Questo é confermato anche dal fortissimo legame tra l'imperatore Costantino e la figura dell' arcangelo Michele. A San Michele Costantino consacrò degli importantissimi templi nei dintorni di Costantinopoli. Importante per noi soprattutto il Sosthenium, tempio dedicato agli Argonauti ma che venne cristianizzato dopo che qui all'imperatore apparve proprio l'arcangelo. Sia agli argonauti che a Costantino apparve in quel luogo una figura alata, due "segni" molto simili! Il rapporto con gli Argonauti ci riporta ancora ad Orfeo, con i quali ha partecipato alla conquista del Vello d'Oro. Da una discussione precedente, avevamo appurato però anche il legame tra i templi dedicati a tutti gli dei, i Panthei ed il mito degli Argonauti stessi. La cosa emergeva sia da alcuni esempi in Anatolia sia dal Pantheon di Roma, con annesso il Portico degli Argonauti. Stiamo quindi girando attorno ad alcuni personaggio che sembrano ritornare ed incrociarsi tra di loro. Mancava però un filo logico che unisse insieme i vari elementi, ciò che ho trovato oggi secondo me può aiutare a far combaciare alcuni pezzi! Ho scoperto l'esistenza di una riscrittura del poema di Apollonio Rodio. Questa nuova versione risale alla metà del V secolo dC ed é una rilettura in chiave orfica del mito degli Argonauti. Protagonista e narratore della storia é proprio Orfeo, che passa dal ruolo di musico a quello di sacerdore e potente mago. L'opera, di autore anonimo si chiama le "Argonautiche Orfiche"http://en.wikipedia.org/wiki/Argonautica_Orphicawww.liceorussell.net/zoldnet/Archiv...e%20orfiche.pdfRispetto all'opera di Apollonio Rodio, che ne è il modello, nelle Argonautiche orfiche il ruolo di Orfeo acquista un rilievo straordinario, a detrimento di tutti gli altri personaggi. Non è qui possibile un'analisi particolareggiata delle Argonautiche orfiche; mi limiterò perciò a ricordare solo alcuni episodi, che mettono in luce il rilievo che Orfeo assume in quest'opera. Ciò che soprattutto lo contraddistingue è la forza del suo canto accompagnato dalla musica, e a questa forza è strettamente legata la capacità di incantare. Al momento del varo, gli eroi non riescono a trascinare in acqua la nave insabbiatasi e trattenuta da alghe secche. Orfeo (248-73), ispirato dalla madre, compone un canto: esorta gli eroi a tirare la nave verso le onde e, rivolgendosi alla nave stessa, le chiede di ascoltarlo; questa scivola in mare. Dinanzi al pericolo delle rocce Cianee è particolarmente evidente il legame che unisce la bellezza del canto alla capacità di incantare qualsiasi cosa: Orfeo conosce la pericolosità di queste rocce, descrittegli dalla madre Calliope. Mentre gli eroi remano con ardore, Orfeo cantando incanta le Cianee che si staccano l'una dall'altra; l'abisso del mare ubbidisce alla cetra e alla sua voce divina, e la nave passa. Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, invece, è la dea Atena che con una mano si appoggia a una roccia e con l'altra spinge la nave attraverso il passaggio (2,599- 600). Il canto di Orfeo è determinante anche in un altro episodio. Già in Apollonio (1,902-11), quando gli Argonauti si dirigono verso l'isola delle Sirene, incantati dalla voce di queste, Orfeo li trattiene intonando un canto veloce, in modo che gli orecchi dei compagni rimbombino di questo suono, e la sua cetra vinca la voce delle Sirene (4,891-919 ). Ma, benché questa risulti indistinta, Bute si getta in acqua. Anche nelle Argonautiche orfiche (1268-90) le Sirene con la loro voce melodiosa affascinano i mortali, facendo dimenticare loro il ritorno. Gli Argonauti vorrebbero accostarsi, e Anceo si sta già dirigendo verso il promontorio, quando Orfeo, ispirato dalla madre Calliope, canta un inno sul conflitto fra Zeus e l'Enosigeo. Non solo salva tutti gli Argonauti, ma, udendolo suonare, le Sirene sono prese da tale stupore che interrompono il loro canto, gettano via gli strumenti musicali e si tuffano in mare, tramutandosi in pietre. Oltre il ruolo di cantore e di incantatore, Orfeo ha ancora quello di consigliere. A Samotracia persuade gli eroi a farsi iniziare ai misteri degli dèi, perché per ogni navigatore la partecipazione a questi riti è salutare (464-70). Ma l'aspetto che, nelle Argonautiche orfiche, ha più spazio è quello di Orfeo esperto di riti e misteri. Persino la maga Circe demanda a lui i riti espiatorî per l'uccisione di Apsirto, avvertendo gli Argonauti che non potranno tornare in patria prima di aver lavato la loro colpa con purificazioni divine grazie alla scienza di Orfeo (1230-3), riti che questi compirà al capo Malea, supplicando l'Enosigeo di concedere loro il ritorno (1363-8). È soprattutto nell'episodio della conquista del vello (887-1019) che il poeta delle Argonautiche orfiche si sbizzarrisce e dà spazio a Orfeo, che invece non compare in questo punto del racconto di Apollonio, dove è Medea che si occupa di tutto (4,109-82). Nel poema orfico una particolareggiata presentazione dei luoghi conduce il lettore fino al vello d'oro: dinanzi al palazzo di Eeta c'è una recinzione altissima; guardiana delle porte è Artemide, terribile da vedere e da udire per chi non abbia partecipato alle iniziazioni e ai riti purificatorî. Al di là della recinzione c'è un bosco pieno di piante, con in mezzo una quercia altissima, dai cui rami pende il vello. Un serpente, coperto di scaglie d'oro, fa la guardia, senza mai dormire. Una minuziosa descrizione di un rito rivela il gusto dell'autore per la magia popolare; alcuni particolari ricordano i papiri magici. Orfeo scava una fossa triangolare, dentro colloca una pira e compie un sacrificio; vestito di veli scuri, fa risuonare il bronzo e prega. Al suo richiamo subito escono fuori dal baratro Tisifone, Aletto e Megera, seguite da due figure inquietanti: Pandora dal corpo di ferro e Ecate dall'aspetto mutevole. La statua d'Artemide lascia cadere a terra le torce e fissa il cielo, mentre i cani che l'accompagnano agitano la coda. Le porte si aprono; Orfeo e gli altri entrano nel bosco sacro. Il serpente di guardia al vello sibila in modo terrificante, ma Orfeo accorda la voce divina della sua lira e, sulla corda più grave, intona un canto in sordina, senza articolarlo, con labbra silenziose: invoca il Sonno, affinché venga a incantare il drago, che infatti si addormenta. Anche qui il canto si intreccia alla magia. La sua fama come esperto nella scienza dei misteri e forse la sua discesa nell'Ade hanno fatto sì che il suo nome fosse tradizionalmente collegato all’insegnamento delle cerimonie d'iniziazione Il legame con Costantino e con molte altre cosa appare evuidente qui: www.openstarts.units.it/dspace/handle/10077/2823Dopo un excursus tra le cronache tarde che offrono interessanti spunti di riflessione per comprendere cosa significasse nella tarda antichità la sosta degli Argonauti a Cizico, si analizza come il poeta delle Argonautiche Orfiche tratti l’episodio: rimaneggia il materiale apolloniano, chiaramente con l’intenzione di presentarlo in una forma più semplice e lineare (vv. 490-628 ~ Ap. Rh. I 922-1152), prevedendo anche delle espansioni (la parte sui funerali e i giochi funebri di Cizico, vv. 568-593) o delle singolarità (l’uccisione di Cizico da parte di Eracle). La descrizione della costruzione della statua della dea segue Apollonio Rodio (vv. 606-11 ~ Ap. Rh. I 1117-1122), con l’aggiunta però di un significativo commento sull’eternità del simulacro (vv. 610-611): l’attenzione mostrata dal poeta verso l’episodio ciziceno difficilmente potrà essere considerata casuale, tanto più alla luce delle connessioni fra i ricordi argonautici della zona, Costantinopoli e la cristianizzazione dei simboli e dei luoghi di culto di Cibele.www.openstarts.units.it/dspace/bits...23/1/AGOSTI.pdfIl nostro excursus inizia un paio di secoli dopo la composizione delle AO. Si tratta della trattazione della saga argonautica fatta da Giovanni di Antiochia (VII sec.), i frammenti della cui opera sono ora disponibili nella nuova importante edizione di Umberto Roberto 16. Si tratta di Chron. fr. 26,2, p. 62 Roberto (= Par. gr. 1630, f. 238v,15-26):
«In quei tempi visse anche Marsia il flautista e furono compiute le imprese di Giasone e degli Argonauti, i quali, approdati a Cizico, dopo essere stati accolti, per ignoranza aggredirono e uccisero il re Cizico; poiché ne furono addolorati fondarono un tempio in sua memoria. Quindi partirono alla volta del luogo detto ‘Pythia Therma’ e, dopo il sacrificio, chiesero ad Apollo di chi fosse il tempio che avevano edificato. A loro fu dato questo oracolo: «Una vergine sconosciuta sarà gravida; ed invero colui che da lei procede dopo aver conquistato l’intero mondo lo porgerà in dono al padre; di lei sarà questo tempio. Il suo nome è Maria». E quelli, poiché credettero che parlasse di Rea, lo attribuirono a Rea. Questo tempio, sotto l’imperatore Zenone, divenne chiesa di Maria, nostra Signora e madre di Dio»
Dunque nel VI secolo la storia è coerentemente strutturata: dopo la sventurata sosta a Cizico e l’uccisione involontaria del re, gli Argonauti edificano un tempio nella città e si recano all’oracolo di Puqiva ermav(in Bitinia) per chiedere a chi dedicare il tempio. Apollo dà una profezia sull’immacolata concezione di Maria e la nascita di Gesù; prendendolo per un annunzio su Rea, gli Argonauti le dedicano il santuario, che infine sotto l’imperatore Zenone diventerà una chiesa della Vergine. Anche solo alla lettura, credo, questa tradizione presenta svariati motivi di interesse, in relazione sia alla cristianizzazione dell’oracolo di Apollo e alla sostituzione di un tempio di Cibele con uno della Vergine (che in sé non ha nulla di sorprendente ed è solo uno delle iniziative antipagane prese da Zenone), sia all’utilizzo del mito argonautico nella tarda antichità. L’episodio non fu probabilmente secondario, almeno a giudicare dall’abbondanza di testimonianze. La notizia di Malala (e di Giovanni di Antiochia) non è isolata, ma fa parte di un cospicuo dossier, che proprio recentemente si è accresciuto in modo significativo.
Dunque almeno alla metà del V secolo si era già formata la tradizione di un oracolo che annunciava la nascita del Salvatore e che era connesso alla trasformazione di un tempio di Rea in una chiesa della Vergine. Collocato sul Partenone ad Atene almeno nella testimonianza più antica (Teodoto) e rivolto agli Ateniesi, successivamente esso passa più decisamente a Cizico, dove viene connesso alla vicenda argonautica.
La notizia di un tempio di Rea cristianizzato sotto Zenone (o sotto Leone) non è naturalmente inverosimile: essa è solo uno dei tanti esempi di cristianizzazione di luoghi di culto pagani, cristianizzazione talora ‘naturale’, talora più drammatica. Spesso la sostituzione è annunciata dalle fonti letterarie in termini trionfalistici; nel nostro caso, invece, i testimoni sono concordi nel sottolineare che la trasformazione del tempio in chiesa della Vergine è piuttosto un atto di continuità, già annunciato fin dai tempi remoti dalla dea stessa. È assai probabile che l’elaborazione della leggenda (e del testo oracolare) risalgano alla seconda metà del V secolo, a una fase cioè in cui i testimonia pagani sono utilizzati per sancire la definitiva vittoria del cristianesimo. Ma quel che mi preme qui sottolineare è il collegamento con la sosta a Cizico degli Argonauti. Di fatto si tratta della cristianizzazione di un venerando ricordo argonautico, situata in una zona particolarmente densa di significati religiosi e politici. L’interesse per le tracce del viaggio degli Argonauti, infatti, è legato direttamente alla fondazione di Costantinopoli e alla ridefinizione in senso cristiano degli spazi pubblici della nuova capitale. A Costantino non era sfuggita l’importanza dell’antica statua di Rea-Cibele sul monte Dindimo e – secondo quanto racconta Zosimo – l’aveva fatta collocare nel Tetrastoon (portico del foro di Settimio Severo), trasformandola in Tyche di Costantinopoli (con le palme aperte in segno di protezione della città). Evidentemente le reliquie argonautiche nella zona di Cizico continuavano a conservare il loro prestigio, favorito anche dal fatto l’antica dea tutelare di Bisanzio era Rea, almeno secondo le fonti patriografiche più tardeLa statua di Rea non era l’unica reliquia argonautica della zona. Sulla riva europea del Bosforo si trovava il Sosthenion, trasformato in chiesa di S. Michele: la fonte è sempre Malala, che racconta dell’apparizione agli Argonauti di un dio che annunzia la prossima vittoria su Amico. La statua dedicata per l’occasione fu vista da Costantino ejn ajggevlou schvmati monacou' , ciò che lo portò a identificarla con Michele e ad erigere la chiesa. Recentemente Joëlle Beaucamp ha studiato il caso del tempio di Sosthenion nell’ottica della strategia narrativa e ideologica di Malala, cercando di verificarne la funzione nell’ambito della rilettura data dall’antiocheno della storia pagana. Analoghe considerazioni si possono fare anche per l’oracolo relativo al tempio di Cizico, il quale evidentemente aveva la funzione di assicurare alla tradizione ellenica un ruolo nell’economia della salvezza, in quanto partecipe della Rivelazione divina. Gli oracoli teologici sulla vera natura di Dio si diffondono soprattutto a partire dal IV secolo: una tradizione che trova, come osservato, la sua formulazione più compiuta nella Theosophia Tubingensis. ...
È il momento di tornare alle AO. Vista l’importanza sul piano religioso e della geografia sacra delle reliquie argonautiche nella regione di Cizico, è opportuno chiedersi se essa abbia qualche riflesso sulla riscrittura ‘orfica’ del poema di Apollonio. Nel raccontare la sosta degli Argonauti a Cizico il poeta delle AO rimaneggia il materiale apolloniano, chiaramente con l’intenzione di presentarlo in una forma più semplice e lineare. Tuttavia l’episodio è fra i più lunghi del poema e la riscrittura non si limita a riassumere il modello, prevedendo anche delle espansioni (la parte sui funerali e i giochi funebri di Cizico, vv. 568-593) o delle singolarità (l’uccisione di Cizico da parte di Eracle). La descrizione della costruzione della statua della dea segue Apollonio Rodio, con l’aggiunta però di un significativo commento sull’eternità del simulacro. (...)
Gli Argonauti salgono sul Dindimo per propiziarsi Rea, dopo l’uccisione involontaria di Cizico da parte di Eracle; Argo costruisce una statua della dea e poi un tempio. Al ritorno gli Argonauti si imbarcano e le gomene, che prima si erano ingarbugliate, miracolosamente si sciolgono e spira un vento favorevole. Gli Argonauti allora scendono per coronocare un altare a Rea Peismativh e poi sulla nave le offrono un sacrificio. Non è nelle caratteristiche, né nelle intenzioni del poeta, quello di innovare con autoschediasmi: certo non si può escludere che l’aition dell’altare si trovasse in una delle sue fonti, preapolloniane o ellenistiche. Ma, dato che il poeta opera un processo di selezione e di riduzione del modello, quel che importa è che si sia sentito in dovere di menzionare proprio questa reliquia argonautica, che dunque si accompagna a quella della statua e del tempio di Era e di cui sottolinea di nuovo il carattere di eternità (v. 627 ejpessomevnoisi). Successivamente gli Argonauti passano in Misia, dove Eracle perde Ila: abbiamo già visto come l’autore proponga una versione del rapimento in chiave allegorica, distaccandosi dal modello principale. L’attenzione mostrata dal poeta verso l’episodio ciziceno difficilmente potrà essere considerata casuale, tanto più alla luce delle connessioni fra i ricordi argonautici della zona, Costantinopoli e la cristianizzazione dei simboli e dei luoghi di culto di Cibele. È dopo la metà del V secolo che a Costantinopoli comincia il processo che porta alla elaborazione della Theotokos come simbolo protettivo della città: processo in cui l’appropriazione di attributi e qualifiche della Madre degli dèi ha un suo ruolo importante. Allo stesso periodo, come si è accennato, si deve far risalire con tutta probabilità la composizione delle AO, opera chiaramente di un pagano convinto, come mostra inter alia la lunga scena teurgica in cui Giasone evoca Ecate, che già Keydell aveva avvicinato ai rituali testimoniati per Massimo di Efeso, il maestro di Giuliano. L’accurata trattazione dell’episodio di Cizico nel poema mi sembra che vada letta in quest’ottica: come il tentativo, cioè, di intervenire nella lotta per i simboli e di contrapporsi alla cristianizzazione delle reliquie del culto Rea, ben conoscendo il ruolo centrale che esse avevano nella riappropriazione mitica del passato di Bisanzio. È anche possibile che il poema fosse stato pensato proprio per un’audience costantinopolitana. Una lettura di altri passi del poema che tenga conto non solo degli aspetti letterari, ma anche di quelli ‘funzionali’, mi sembra che potrebbe rivelarsi assai produttiva per una contestualizzazione di questo misterioso testo. Se si potrà dimostrare che esso è anche come un tentativo di ripercorrere e di valorizzare le reliquie del viaggio argonautico, diverrà forse meno urgente la questione con cui chiudevo la mia analisi del passo di Ila: la scelta del tema argonautico è solo letteraria o sottende piuttosto una interpretazione allegorica del mito, analoga a quella corrente nel tardoantico per il racconto odissiaco? Il fatto che un poema mistico-allegorico cristiano come la Visio Dorothei si chiuda con una patente citazione apolloniana dà da pensare: ma rimane il fatto che non vi sono in età tardoantica esempi di allegorismo del mito argonautico. Se però le AO sono un tentativo di rimettere ordine nella geografia mitica, non sarà tanto una interpretazione allegorica del viaggio di Argo quanto la volontà di ridare dignità alle gloriose reliquie del passato che l’interprete dovrà cercare. Un’ipotesi di lavoro che mi sembra valga la pena di verificare.
Ci sarebbe un mare di commenti da fare .. ma ne parlerò nei prossimi giorni!
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