Una lontana estate., Scende un ponte levatoio davanti a distese di grano.

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view post Posted on 30/3/2012, 20:01

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view post Posted on 30/3/2012, 22:17
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Angelo

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Flavius .. ti suggerirei di copia-incollare anche qui il testo dell'articolo (sempre la cosa sia possibile). Questo permetterebbe un maggiore stimolo all'lettura rispetto al link "nudo e crudo"
Alla peggio .. almeno un riassunto o un commentino! ;)
 
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view post Posted on 31/3/2012, 10:04

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Mha, spero che il diretùr del giornale non se ne abbia.
In ogni caso, ovviamente il riferimento all'articolo rimane questo:
www.inter-vista.it/articoli/item/40...se%20di%20grano

Ecco l'articolo:

trentunomarzo

Una lontana estate/I. Scende un ponte levatoio davanti a distese di grano


Tra le vedute riminesi che il pittore britannico Turner abbozzò nei propri appunti, la più complessa occupa quasi due pagine del suo taccuino. Il disegno, non è esplicitamente riferito alla città, sebbene essa sia chiaramente riconoscibile in quanto viene sostanzialmente riproposto un punto di vista più volte sfruttato dai vedutisti che si sono occupati di Rimini.
Si tratta infatti di una scena assai sinteticamente definita, che, ripresa dal greto del Marecchia, spazia dalle mura del porto (visibile anche la sagoma della Cattedrale di S. Colomba), riprende di scorcio il ponte di Tiberio, per mostrare in primo piano il lato monte del Borgo S. Giuliano. Qui si vede ciò che restava in quel punto delle mura del borgo, quindi il grande edificio del monastero, sul quale svetta il campanile della chiesa.


Specificamente interessante nella veduta è poi quanto si intravede delineato all’estrema sinistra, ovvero l’antica porta urbica di S. Giuliano, così come essa era visibile nei primi decenni del XIX secolo.
In realtà, per quel che si intuisce, la struttura sembra ridotta a non molto più dell’archivolto del passaggio nella cinta muraria, in una sistemazione forse non troppo diversa da quanto è rimasto della cosiddetta Porta Gervasona, presso la chiesa della Madonna della Scala. Per altro, la porta di S. Giuliano, fu per lungo tempo l’unico ingresso nelle mura a nord della città ed, in origine fu affiancata da un torrione, nonché dotata di ponte levatoio, da calarsi ed alzarsi sopra un fossato.
L’aspetto debole delle difese del borgo in quel punto era comunque la vicinanza con il fiume che, nelle ricorrenti e furiose piene, travolgeva gli stessi bastioni, causando enormi danni anche alle case.


Tant’è che per queste ragioni le strutture presso la porta si trovavano in una situazione assai precaria l’otto di Giugno del 1469, quando proprio in questo punto si giocarono i destini della città.
Come consuetudine, infatti, quel giorno, al sorgere del sole, udito il suono della “campana grossa” del Palazzo Comunale, anche alla porta del Borgo, come per le altre porte urbiche, venne abbassato il ponte levatoio.
Considerando l’attuale caotica situazione urbana della zona, occorre anche dire che provoca una certa suggestione il pensiero che, secoli fa, in un giorno della tarda primavera, il ponte levatoio si aprisse davanti a distese di grano ormai alto che, come ci informano le antiche memorie, giungevano ai confini cittadini.
Si può essere comunque certi che i guardiani della porta non concessero tempo a contemplazioni bucoliche: le estasi romantiche davanti a panorami agresti erano ancora di là da venire e, soprattutto, si vivevano allora tempi di forte tensione, come quella che si respira nell’attesa di grandi ed incombenti rivolgimenti.


A non più di otto mesi dalla morte del signore Sigismondo Pandolfo Malatesta, la città era infatti retta allora dalla vedova Isotta Degli Atti e dal figlio Sallustio, col sostegno militare di un reparto di fanteria veneta. A tutti era inoltre evidente che, dopo le sconfitte patite da Sigismondo, l’antico dominio malatestiano era allo stremo, privato ormai dei castelli dell’entroterra e ridotto pressoché alla sola Rimini.
Si trattava, insomma, di un territorio pronto ad essere fagocitato da una grande potenza, da definirsi quale tra lo Stato Pontificio e la Serenissima Repubblica Veneta.
Va però aggiunto che, tra i due grandi contendenti, vi erano stati altri che, a loro volta, avevano trovato spazio per giocare le proprie carte.


Tant’è che, a distanza neppure di due settimane dalla morte del marito, Isotta si era vista comparire davanti, nel castello, il figliastro Roberto, entrato in incognito ed incaricato dal Papa di operare (con tutti i mezzi) per assicurare la città alla Chiesa.
Egli tuttavia, una volta accolto nel governo cittadino, non si era neppure sognato di rispettare l’incarico e, piuttosto, aveva aderito ad una Lega antipapale composta da Napoletani, Milanesi e Fiorentini.
Questa, quindi, era la situazione quando, all’alba dell’otto Giugno 1469, all’ordine del Conestabile ad essa preposto, alla porta di S. Giuliano venne abbassato il ponte levatoio.
Come si diceva, di certo di guardiani della porta non persero tempo a contemplare la distesa di grano ormai maturo che si estendeva a ridosso delle mura.
Se tuttavia lo avessero fatto, allora forse si sarebbero accorti che, acquattati fra le spighe, si nascondevano otto soldati scelti tra i più fidati nelle milizie pontificie.
In tal caso, magari i guardiani avrebbero anche potuto scoprire che i dodici uomini in abito da pellegrini che attendevano di entrare erano anch’essi miliziani papali i quali invece, assieme a quelli nascosti tra il grano, balzarono loro addosso e li annientarono.
Anche il Conestabile fu travolto, mentre nessuno tra i borghigiani ebbe possibilità e – forse – neppure coraggio di opporsi, cosicché in breve l’intero Borgo cadde in mano nemiche. Allo stesso tempo, un consistente nerbo di truppe ecclesiastiche, che sino allora erano rimaste a distanza di sicurezza, affluì sul luogo e mise in atto un devastante saccheggio.


Il papa, dopo il voltafaccia di Roberto, si era infine risolto a prendere Rimini con la forza e, a quel punto, a ultima difesa della signoria malatestiana e dell’autonomia, non rimaneva che l’alto torrione di S. Pietro, che dominava il ponte romano sul Marecchia al di là del fiume.
Forse, in tal frangente, si accese una mischia presso tale baluardo il cui ponte levatoio, tuttavia, riuscì alla fine ad alzarsi, sbarrando l’accesso.
Per il momento, le truppe del Papa, che nel frattempo continuavano ad affluire da Santarcangelo dove si erano radunate, erano riuscite ad impossessarsi solo del Borgo di S. Giuliano. Qui gli ecclesiastici posero allora cinque bombarde “...le quali traevano nocte e dì alla torre e mura, e alcune per la città. Le botte ratte delle bombarde grosse furono mille cento ventuna, senza le piccole.” Era così iniziato un assedio alla città sul quale cronisti e diplomatici del tempo avrebbero speso molte parole in resoconti e memorie.
Per quanto riguarda Rimini, essa, alla fine, ne sarebbe uscita assai mutata in quello che era stato il suo secolare aspetto medievale.


L. Tonini, Storia di Rimini, vol. V, P. I, , Rimini, 1880, pp. 325 e ss.
A. Turchini, La signoria di Roberto Malatesta detto il Magnifico (1468-1482), Bruno Ghigi Editore, Rimini, 2001.



Altri articoli da questa categoria:« Horror vacui (o sindrome di Sanremo) degli eventi in riviera Gambini. Un ricordo di Tonino Guerra »

INTERVISTA // Quotidiano online della provincia di Rimini - Registrazione Tribunale di Rimini n.2 / 28.02.2012
 
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view post Posted on 31/3/2012, 11:10
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Angelo

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Magari chiedi all'editore o a chi per lui (se li conosci ...): in ogni caso possiamio sempre eliminare su richiesta!
 
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view post Posted on 14/4/2012, 11:25

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L'articolo si trova qui:
http://www.inter-vista.it/articoli/item/50...mbarde%20papali

L'immagine si vede qui:

http://www.inter-vista.it/immagini/item/50...-porta-s-pietro


Una lontana estate/II. Sotto il tiro delle bombarde papali


La grande struttura difensiva del torrione di porta S. Pietro fu fondata nel XIV secolo per controllare l’ingresso cittadino, di fronte al Ponte di Tiberio. Nella sua più antica rappresentazione (XV secolo), visibile in un bassorilievo del Tempio Malatestiano, il fortilizio merlato appare alto e possente, in grado di dominare il territorio e, in particolare, il porto sul Marecchia. Nelle immagini più recenti tuttavia, sino a quelle di poco precedenti la sua distruzione (XIX secolo), la torre si vede ridotta ad una struttura piuttosto tozza, affiancate da altre che sembrano in cattivo stato.


Tra i più alti edifici della città di epoca medievale, il caso della porta di S. Pietro è comunque solo uno di quelli in cui sono (o furono) evidenti segni di un abbassamento o parziali demolizioni. E’ infatti sufficiente dare un’occhiata al campanile del vicino complesso dei Servi per notare chiari indizi di un capitozzamento e di una successiva ricostruzione.
Anche nella torre del Palazzo Comunale (detto dell’”Arengo”) emergono tracce di vari rifacimenti in altezza e persino nel campanile di S. Agostino, che mostra ancora un massiccio aspetto trecentesco, si intravedono segni di ristrutturazioni all’altezza della cella campanaria.
In realtà, la successione delle torri qui segnalate può essere utile ad evidenziare, in linea di massima, quale fu la traiettoria principale dei tiri sparati dalle “bombarde grosse” - piazzate dall’esercito pontificio nel Borgo S. Giuliano – diretti alle strutture più alte della città, durante l’assedio del 1469.
Così riportava il cronista riminese Baldo Branchi, contemporaneo ai fatti: “...stettero a campo tre mesi; bombardonno la Porta di San Piero, tutta la facciata lungo il fiume...et ruppe le mura della Torre; spianò e guastò molte case, la campana del comune, quella dei Frati de’ Servi, et fenno general guasto di fuori....”.
Per quanto riguarda il campanile di S. Agostino, sappiamo da altre fonti che fu colpito dal primo tiro delle artiglierie e ancora nel 1487 aspettava di essere adeguatamente restaurato.
Sempre i cronisti riminesi parlano di “mille cento ventun colpi sparati dalle bombarde sulla città, senza contare le piccole”.


In realtà, l’assedio riminese, attuato dalle truppe papali per por fine all’ormai precario dominio malatestiano, attirò l’attenzione di informatori e relatori di diversi potentati, impressionati anche dallo sforzo militare messo in campo dai pontifici. Nelle relazioni si trovano commenti stupiti, ad esempio, per il fatto, allora inedito, che i difensori addirittura temessero di sporgersi dalle difese per non essere colpiti da proiettili sparati da armi da fuoco leggere.
Il possente fuoco delle artiglierie era comunque solo parte del piano degli ecclesiastici, i quali seguivano una strategia precisa, suggerita da fuoriusciti che ben conoscevano il luoghi. Essi infatti, passati tre giorni dall’espugnazione del Borgo, guadarono in forze il Marecchia in un punto ed in un momento in cui ciò era consentito dalle marea, spingendosi verso la marina ed impadronendosi dell’antico faro di origine romana che sorgeva all’imboccatura del torrente Ausa. Si tentò inoltre di sfondare il muro cittadino ove esso, nel Borgo Marina, era più debole.
Ciò che tuttavia il Tesoriere del Papa – a capo delle truppe assedianti – non aveva messo in conto fu la violenta reazione di Roberto Malatesta che, seguito dalla “volontà operosa dei cittadini”, si scagliò coi suoi sui nemici e, come spiega il contemporaneo Gaspare Broglio, “...li andò ad assalire in modo che ne ammazzò più di 50 con molti feriti; e alcuni huomini d’arme anque se anegarono; e cacciolli de fora di tutto il Borgo [di Marina] li quali se ridussero di fora della Porta di S. Nicolò; et così stavano racchiuse tucte quelle genti, che non potivano ritornare per la via che avivano facto del fiume”.
Le milizie del Tesoriere, rimaste imbottigliate a mare delle mura cittadine, dovettero aspettare il giorno successivo per guadare nuovamente il Marecchia: aggiunge a tal proposito un altro cronista che “la notte seguente parve mille anni levarsi de lì et le genti d’arme passarono a guazzo al muro a levarsi”.


Da quel che se ne sa, la sconfitta subita indusse gli ecclesiastici ad evitare nuovi scontri frontali, mentre si ha notizia di altre scaramucce dopo le quali Roberto, “coi pochi soldati da piede e da cavallo che aviva” sempre ritornò onorevolmente in città.
Per inciso, al di là dei toni celebrativi degli antichi cronisti, si rimane comunque impressionati dall’ardore militare (forse è il caso di parlare di “attitudine alla violenza”?) che si ritrova nei componenti della schiatta malatestiana, sino agli ultimi più degeneri, quasi sempre in grado di tenere in scacco i nemici sulla punta della propria spada e di trascinare nell’impeto i compagni.


Quanto alla città, bloccata anche dalla parte del mare da una piccola flotta da guerra, continuò a soffrire sotto i colpi delle bombarde, mentre l’intero borgo S. Ginesio (attuale borgo S. Giovanni) fu dato alle fiamme, nel timore potesse offrire nascondiglio agli assedianti.
In Agosto, quando si era allo stremo delle forze, giunse notizia dell’imminente arrivo delle truppe di Federico da Montefeltro in soccorso ai difensori e finalmente le milizie papali furono costrette a lasciare il borgo S. Giuliano, non senza metterne in atto la piena distruzione: “...fo usata grande disonestà, che nella partita loro abrusarono dicto Borgo; e più ferono gettare gran parte delle mura...”.
Dal punto di vista politico, tuttavia, gli stessi meccanismi che avevano trascinato il padre Sigismondo alla rovina, ora, con il loro procedere, si volgevano a favore del figlio Roberto, quest’ultimo sempre accortissimo ad afferrare le occasioni favorevoli. Federico del Montefeltro, aderente alla lega antipapale appena costituita e vecchio nemico mortale dei Malatesti, aveva invece ora interesse a soccorrerli e si dirigeva con i suoi uomini verso Rimini, per la via che scendeva da San Marino. Gli ecclesiastici avevano così dovuto rinunciare all’assedio per andargli incontro, con il loro notevole potenziale militare, trincerandosi a Vergiano. Lo scontro si stava preparando presso Burgazzano, - di rimpetto a Cerasolo, attuale località Zingarina -, lungo il cammino che collega il Titano a Rimini.


Questo evolversi della situazione condusse anche Roberto a lasciare la città con i suoi, per dar man forte all’alleato.
Le antiche vedute mostrano i rilievi del contado riminese ben coltivati, con campi e filari di vigne, trapuntati da macchie boscose; nella tarda estate del 1469, tra i declivi di quelle dolci colline, al passo degli armigeri che calpestavano strade sterrate, la resa dei conti si avvicinava.


L. Tonini, Storia di Rimini, vol. V, P. I, , Rimini, 1887, pp. 332 e ss.
C. Clementini, Racconto istorico...., vol. II , 1616, p. 499.
A. Turchini, La signoria di Roberto Malatesta detto il Magnifico (1468-1482), Bruno Ghigi Editore, Rimini, 2001.
 
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view post Posted on 6/5/2012, 11:40

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Una lontana estate /III. Un certo genere di eroi

L'articolo si trova qui: http://www.inter-vista.it/articoli/item/64...ere%20di%20eroi

L'immagine dello stemma è questa: http://www.inter-vista.it/immagini/item/64...berto-malatesta


Gli edifici che attualmente ospitano Seminario diocesano e parrocchia di San Fortunato, sul colle di Covignano nell’entroterra riminese, fecero parte del grande e ricco monastero olivetano di Santa Maria di Scolca, fondato da Carlo Malatesta nel secolo XV ed abbandonato dai monaci sul finire del XVIII a seguito delle soppressioni napoleoniche.
La chiesa stessa, in realtà mantiene ancora la dedica a S. Maria Annunziata Nuova di Scolca e, in parte, conserva opere d’arte ed iconografie connesse all’antico insediamento abbaziale.


Tra le tracce lasciate dal tempo sulla tormentata facciata dell’originario tempio olivetano, è possibile notare, inserito in una lesena, uno stemma quattrocentesco, con il monogramma di Roberto Malatesta, signore di Rimini.
Sulle possibili ragioni della presenza di tale stemma e sulla relazione tra i monaci ed il titolare della signoria, può fornire qualche spunto il ricordo di ciò che accadde nelle colline vicine durante la tarda estate del 1469, quando si svolse l’ultimo atto della guerra scatenata da papa Paolo II per impossessarsi degli antichi domini malatestiani.


Dopo un pesante assedio alla città di Rimini, le truppe ecclesiastiche guidate dal Tesoriere del Papa, si erano risolte a lasciare – mandandolo in fiamme - il borgo di S. Giuliano ove si erano insediate per alcuni mesi.
Lo scopo per cui esse si inoltravano tra i rilievi dell’entroterra era quello di intercettare le forze di Federico del Montefeltro che stavano scendendo da San Marino, per prestare soccorso agli assediati.
In tali circostanze, Roberto Malatesta, che aveva sostenuto la resistenza cittadina per tutta l’estate, era a sua volta uscito coi suoi dalle mura urbiche, a prestar sostegno agli alleati.
I malatestiani irruppero allora a Cerasolo, mentre gli ecclesiastici fecero tappa a Vergiano fortificandosi, ma gli uni e gli altri conversero poi in direzione della località Burgazzano - di rimpetto a Cerasolo, attuale località Zingarina - verso il campo trincerato di Federico da Montefeltro, ove si accese lo scontro.


La battaglia durò accanita per un intero giorno sino al giungere della sera quando le truppe pontificie, trovandosi lontane dal proprio accampamento, ebbero la necessità di tornarvi, affrontando un rischioso disimpegno, di fronte al nemico in armi.
Appena però furono viste ritirare dal terreno le micidiali “cerbattane”, ovvero le artiglierie leggere che avevano provocato non poche vittime tra malatestiani e feltreschi, lo scaltro Roberto intuì la situazione e, richiesto ed ottenuto il permesso dall’alleato, attaccò.
In verità, si è al corrente degli eventi che seguirono grazie alla cronaca immaginifica e celebrativa di Gaspare Broglio, uomo al servizio dei Malatesti. Al di là dei toni enfatici, comunque non si fatica troppo ad immaginare il signore di Rimini scagliarsi “a modo di un falcone” sui nemici, seguito dai suoi uomini d’arme.
Colti nel momento più delicato della loro manovra, gli ecclesiastici, dopo alcuni tentativi di resistenza, entrarono in una rotta caotica, perdendo uomini ed attrezzature. Alcuni superstiti si rifugiarono a Santarcangelo, altri addirittura a Cesena, luoghi che minacciavano di tornare in mano malatestiana, se Federico non avesse frenato le ambizione dell’impetuoso alleato.


Sullo slancio della vittoria - e probabilmente utilizzando materiali sottratti al nemico - furono poi recuperati parecchi castelli che erano stati parte dell’antico dominio sigismondeo, mentre tra le colline ove si era combattuto rimase una distesa di vittime, tra morti e feriti.
Di queste si occupò la carità dei monaci del vicino monastero di Scolca, che pare ne abbiano curate ed ospitate moltissime, ricoprendo così un commendevole ruolo nei drammatici avvenimenti di quell’estate.


Ritornando quindi a ciò da cui si era tratto spunto per accennare alla battaglia, rimane da spiegare la presenza dello stemma sulla facciata della chiesa abbaziale, il quale, tra l’altro, è inserito in un contesto decorativo che ricorda il rinascimento veneto e sembra coevo ad un’adiacente cappella affrescata, ove pitture cinquecentesche sono sovrapposte ad altre più antiche.
Si può allora presumere che gli abbellimenti al tempio di Scolca sui quali Roberto appose il proprio stemma, siano stati una sorta di riconoscimento del condottiero per l’attività caritatevole dei monaci seguita alla battaglia?
Forse sì, sebbene, allo stato delle attuali conoscenze, ciò non sia dato sapere con certezza; per altro, si può rilevare come quello del monastero di Covignano sia rimasto per secoli uno dei pochi stemmi dei signori di Rimini – esclusi quelli del Tempio malatestiano, che furono salvati in extremis – a sfuggire alla damnatio memoriae successiva alla caduta della signoria.


Sempre a proposito di Roberto, si può aggiungere qualcosa sul suo ritorno in città ove, una volta riaffermato il potere malatestiano, era chiaro che tra lui, la matrigna Isotta ed i figli di quest’ultima Sallustio e Valerio, di galli nel pollaio ve n’erano troppi.
Tanto più che gli ultimi due avevano agli occhi di Roberto il difetto di essere eredi testamentari legittimi del padre Sigismondo, a differenza di lui che era stato a suo tempo diseredato per alcuni comportamenti politicamente disinvolti.
Sallustio fu trovato morto un anno dopo a casa della sua amante. Sul momento, furono ritenuti colpevoli alcuni parenti della defunta che finirono linciati dalla folla, sebbene poi, a mente fredda, i sospetti su caddero su Roberto il quale, comunque stessero le cose, si trovava ora liberato da un pericoloso concorrente al potere.
I sospetti divennero pressoché certezze quando, poco tempo dopo, il fratello di Sallustio, Valerio, fu ucciso da sicari mascherati, mentre si trovava sulla strada per Longiano.
Quanto ad Isotta, non mancò a breve di passare anch’ella ad altra vita ed allora l’illazione che la morte fosse stata aiutata con somministrazioni di veleno era quasi inevitabile.


Evidentemente, se qualcuno aveva pensato che il vincitore della battaglia di Burgazzano - e nuovo signore della città – avesse a che fare con l’ideale dell’eroe senza macchia e senza paura, si era sbagliato.
Di certo egli non conosceva timore, ma non si creava neppure problemi a collezionare macchie in quantità.
D’altra parte, è verosimile che ben poco di ideale fosse rintracciabile nella Rimini brutale e stremata della seconda metà del XV secolo; in siffatti tempi e situazioni, specialmente per la gran parte della popolazione che alle vicende del memorabile assedio aveva contribuito subendo distruzioni e carestia, ciò che probabilmente importava era riuscire a procurarsi l’essenziale per vivere ed un minimo di pace che allontanasse timori di saccheggi e violenze.
Per quanto concerneva gli intrighi politici e le lotte di potere, queste erano cose che, in linea di massima, riguardavano ambienti relativamente ristretti e, in una certa misura, privilegiati.
In buona sostanza, se si tengono presenti ragioni di questo tipo, si può allora pensare che per i riminesi di quel tempo, quello di cui faceva parte Roberto probabilmente era nulla più che il genere di eroi che ci si poteva permettere.


L. Tonini, Storia di Rimini, vol. V, P. I, , Rimini, 1887, pp. 332 e ss.
C. Clementini, Racconto istorico...., vol. II , 1616, p. 499.
A. Turchini, La signoria di Roberto Malatesta detto il Magnifico (1468-1482), Bruno Ghigi Editore, Rimini, 2001
 
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view post Posted on 25/5/2016, 10:19

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eehh...
Sono riuscito a trovare il testo di un vecchio articolo...
Davvero non ricordavo più questa cosa.. :o:
 
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view post Posted on 28/5/2016, 13:13
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Angelo

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In effetti nemmeno io.. troppa carne al fuoco! ;)
 
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view post Posted on 7/6/2016, 15:02

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Già,, un feuilleton storico. Davvero.. di tutto, di più. :templar: :templar:
 
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