IL CIELO ANTICO: SUPERNOVE, METEORE E METEORITI
Altra apparizione che destava massimo interesse era quella di una “stella
nova” o di una
supernova: in entrambi i casi si tratta si esplosioni stellari che aumentano per un breve periodo la luminosità dell’astro interessato. Nel caso delle supernove la luce irradiata può diventare talmente forte da essere visibile anche durante il giorno. Una testimonianza di questo fenomeno ci arriva dalla tradizione orale della tribù africana degli Tswana: per essi questo evento non era necessariamente un presagio nefasto, poteva anzi annunciare “buona salute”. (Walker, 1997, pag.444)
La più nota supernova della storia è quella che, con la sua esplosione, ha dato origine nella costellazione del Toro alla
Nebulosa del Granchio, nell’anno 1054. Essa (appena meno luminosa della Luna) venne abbondantemente descritta da astronomi arabi e cinesi e forse venne anche rappresentata in pittogrammi. Sarebbe il caso ad esempio della pittura rupestre scoperta nel
Chaco Canyon (New Mexico), opera degli indios Anasazi (figura a lato).
In genere, l’immagine di una stella a fianco alla Luna è associabile al pianeta
Venere: ci sono però alcuni indizi che fanno pensare che non sia questo il caso. In primo luogo, la congiunzione tra la supernova e la Luna si verificò realmente, all’alba del 4 luglio 1054, con i due corpi celesti separati da soli tre gradi. In più, una quasi identica iconografia compare su materiali ceramici sicuramente risalenti a quegli anni (Magli, 2006, p. 156).
Altro fenomeno in genere ritenuto foriero di sventura era l’apparizione di una
meteora o
stella cadente, ovvero un frammento di cometa o asteroide che precipita nell’atmosfera diventando incandescente. Essa però non avevano solo una fama sinistra, il “messaggio” variava in base al contesto dell’apparizione: in
Plutarco ad esempio viene citato il “felice presagio” portato a
Cesare da una stella cadente che, alla vigilia di una battaglia, passò sopra il suo accampamento per andare a cadere in quello del rivale Pompeo (Bossi, 1819, p. 328).
In realtà, anche l’usanza moderna di “esprimere un desiderio” alla vista di una meteora non fa che confermare il “lato buono” di questi fenomeni.
Va poi fatta una considerazione pratica importante: i cieli antichi non conoscevano il fenomeno dell’inquinamento luminoso ed erano quindi enormemente più bui. Questo rendeva possibile molti più avvistamenti, con un ritmo di svariate meteore ogni ora. Era quindi un continuo susseguirsi di presagi? Molto più ragionevolmente venivano considerati degni di nota solo i casi particolarmente intensi (la cosiddetta “pioggia di meteore”) oppure quelli più luminosi, i
bolidi (Walker, 1997, pp. 443-444).
Se una meteora non viene completamente distrutta al contatto con l’atmosfera, ciò che riesce a raggiungere la superficie del nostro pianeta prende il nome di
meteorite. Esso può essere costituito
di pietra o di metallo ed è uno degli oggetti di più antica venerazione: si riteneva infatti che, provenendo dal cielo esso fosse un dono degli dei, e divino anch’esso. In generale, il suo culto era rivolto agli
dei del cielo, uranici, perché proprio dal cielo questi oggetti provenivano. I due più famosi meteoriti della storia sono senza dubbio la
Pietra Nera venerata dai musulmani a
La Mecca e quella di
Pessinunte, rappresentazione della dea Cibele , portata a Roma durante l’ultima guerra punica.
In entrambi i casi, il culto era originariamente legato alla
Grande Madre, la
Terra. Questa è un’associazione meno intuitiva, visto che non c’è nessuna relazione tra le profondità del nostro pianeta e questi meteoriti.
Va però osservato che sono comunque delle pietre (cioè sono fatte della stessa materia di cui è fatta la Terra) e che si riteneva cadessero sul nostro pianeta perché “inseguite dal fulmine”, simbolo dei dio celeste. Metaforicamente quindi, esse rappresentano un’immagine della Dea Madre inseguita dal Dio del Cielo: un simbolismo maschio-femmina, un’unione sessuale tra Terra e Cielo che troviamo in molti miti relativi alla nascita di dei e uomini.
I meteoriti quindi sono sacri o perché caduti dal cielo, o perché rivelano la presenza della Grande Dea, o perché rappresentano il “Centro del Mondo” (o per una combinazione di queste ragioni, la Pietra Nera ad esempio era anche
omphalos dell’universo). In quest’ultimo caso, si riteneva che la sacra pietra “bucasse” col suo passaggio il firmamento per poi raggiungere il suolo: nel luogo dell’impatto si creava quindi una “porta” attraverso la quale i mortali potevano comunicare con il Cielo. In questo senso il meteorite diventava una sorta di
betilo (dall'ebraico
Beith-El che significa "Casa di Dio"). (Eliade, 2008, cap. 79).
Bisogna infine ricordare la funzione dei
meteoriti ferrosi, l’unico metallo noto nella preistoria, che venivano usati sia per costruire attrezzi (la durezza del ferro era ideale per lavorare la pietra) sia per scopi rituali. Secondo alcuni anche la
pietra Ben-Ben, venerata ad Eliopolis dagli Egizi apparteneva a questa categoria. (Robert G. Bauval,
Discussions in Egyptology, XIV, 1989).
Sempre in Egitto, era dotata di una lama in ferro meteoritico anche l’
ascia ricurva utilizzata durante il rituale funerario dell’
apertura della bocca del faraone defunto (o di un suo simulacro). Questo rito permetteva, secondo quanto riportano i
Testi delle Piramidi, l’ingresso del Ka (una delle componenti dell’anima presso gli Egizi) all’interno del sarcofago o della statua del faraone in modo che il sovrano morto potesse rimanere sempre in contatto con i vivi e ricevere le loro offerte. Questo strumento aveva la caratteristica forma a “
zampa di toro” e la cosa non era affatto casuale, visto che con quest’iconografia era rappresentata presso gli egizi la costellazione del
Grande Carro (l’
Orsa Maggiore).
Un simbolo quindi “polare”, che faceva riferimento proprio a quella parte di cielo in cui l’anima del faraone era destinata ad ascendere.
Secondo la religione egizia, l’intera
volta celeste era costituita da una
calotta di ferro: era proprio a causa del distacco di qualche pezzo che si formavano i meteoriti. Attraverso le fessure poteva filtrare la luce del mondo superiore. Le stelle, quindi, non erano altro che dei buchi attraverso cui passava la luce proveniente dalle sfere più alte. Lo stesso faraone, dio in terra, non poteva che essere costituito dalla stessa sostanza del cielo: le sue ossa erano, infatti, ritenute proprio di ferro (Magli, 2006, p. 86).