Prima di affrontare il problema forse è utile un sunto degli edifici del complesso laurenziano (
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Probabilmente ultima tra le grandi basiliche paleocristiane costruite nel suburbio milanese, S. Lorenzo colpisce allo stesso tempo sia per l’elaborata planimetria a tetraconco, ampiamente diffusa in area egea e mediorientale, ma assai rara nell’Occidente latino, sia per i numerosi problemi posti dalla sua cronologia e dalla sua funzione originale. Questo nonostante che molte parti del suo articolato complesso siano ancora conservati in alzato.
Il terminus post quem per la fonazione della chiesa e dei suoi corpi annessi è dato dal reimpiego per le fondazioni dei blocchi dell’anello esterno del non lontano anfiteatro, verosimilmente demolito nel 401 all’approssimarsi dei Goti di Alarico, che avrebbero tenuto sotto assedio Milano per mesi: il loro uso per creare una vasta platea di fondazione soprattutto per la cappella di S. Aquilino – parte del progetto originale forse come mausoleo imperiale – permette di collocare la fondazione nel decennio successivo al 401, forse ad opera della committenza di Stilicone (giustiziato a Ravenna nel 408, per ordine dello stesso imperatore Onorio, con l’accusa di alto tradimento, essendo stato vittima di una congiura di palazzo: la damnatio memoriae che colpì il suo nome potrebbe spiegare la perdita del ricordo di un suo ruolo nella fondazione di questa chiesa, citata già da fonti scritte della fine del V secolo, ma che tacciono il nome del suo fondatore); in ogni caso, la prima menzione letteraria dell’edificio riguarda la sepoltura qui del vescovo milanese Eusebio I (morto nel 452), il che significa che a quella data la chiesa doveva essere stata terminata e consacrata. È noto dalle fonti scritte che una delle tre cappelle ottagonali annesse, quella di S. Sisto (lato nord della chiesa) fu costruita dal vescovo Lorenzo I, alla fine del V secolo, ma anche in questo caso l’edificio avrebbe potuto essere compreso nel progetto originario; infine, proprio in seguito alle recenti indagini sulle murature antiche, l’esame del 14C ha permesso di individuare mattoni della prima età longobarda nelle pareti di S. Aquilino.
Prospetto a atrio porticato. Davanti alla chiesa, lungo la via per Pavia, sorgeva un vasto quadriportico, la cui superficie eguagliava quasi quella della basilica. I pochissimi avanzi, rintracciati a livello di fondazioni, hanno permesso di ricostruirlo come porticato su quattro lati, e dotato di esedre terminali sul lato adiacente alla facciata, che davano maggiormente risalto a questo spazio. Lungo la strada, un colonnato architravato fungeva da il prospetto monumentale, con ingresso unico al centro sottolineato da un arco fra le colonne mediane (il loro intercolumnio è maggiore), soluzione glorificante che imitava i prospetti palatini di Spalato e Ravenna, il che avvalora ulteriormente l’ipotesi di un committente imperiale o strettamente legato alla corte. Le sedici colonne corinzie, con fusti scanalati e rudentati, sono in marmo di Musso e risalgono al II secolo d. C.. esattamente come gli architravi: si tratta di spoglie omogenee, probabilmente ricavate da un edificio civile di Mediolanum. Le aggiunte in mattoni sopra gli architravi appartengono alla fase basso medievale della chiesa: in origine, un attico e un timpano sempre in marmo dovevano completare la parte terminale della struttura. Avancorpi in muratura inquadravano ai lati questo prospetto. La datazione di questo settore d’entrata coincide con quello della chiesa.
Il corpo centrale tetraconco. La chiesa vera e propria, a pianta tetraconca, costituiva il centro del complesso: anche in questo caso, l’analisi delle fondazioni e degli elevati superstiti ha indicato una cronologia unitaria, circoscrivibile nei primi decenni dopo il 402. La complessa struttura del corpo centrale è leggibile nelle fondazioni, messe in luce negli anni Trenta del Novecento (senza alcuna attenzione al metodo stratigrafico): quattro torri angolari quadrate, disposte ai vertici si un quadrilatero, sono collegate da quattro esedre semicircolari dorate di un ambulacro interno a due piani. Lo spazio risultava quindi divisi in un vano centrale e in un ambulacro continuo (le quattro basi delle torri erano percorribili attraverso arcate), separati in origine da colonne (tutte sostituite nel XVII secolo) e da pilastri in muratura; anche la galleria al primo piano doveva essere aperta mediante colonnati, ma anche in questo caso tutti i sostegni risalgono al periodo barocco. Le più recenti indagini strutturali hanno definitivamente permesso di risolvere la dibattuta questione delle coperture originarie: le quattro esedre erano coperte da semicatini in muratura, mentre lo spazio quadrato centrale da una vasta volta a crociera, sempre in muratura: le tracce degli attacchi alle base delle quattro torri (che servivano appunto a contraffortarne le spinte) non permettono ricostruzioni diverse della sua forma. Sappiamo dalle fonti che la chiesa fu danneggiata da incendi e terremoti nell’XI e XII secolo. Il
Versum del Mediolano civitate, del 738, menziona lo splendore dei mosaici a fondo d’oro della cupola, e la lucentezza dei marmi dell’interno: le poche tessere i pochi frammenti di crustae marmoree recuperate negli scavi, assieme a qualche lacerto di pannello in stucco ancora alle pareti, permettono di farsi un’idea dello splendore interno dell’edificio: le ampie finestre ad arco che si aprivano nei muri esterni sicuramente inondavano questi spazi di luce naturale, esaltando lo splendore dei rivestimenti parietali. Un ultimo, interessante particolare costruttivo è dato dalla struttura esterna delle torri (una ancora interamente tardoantica), composte di blocchi sovrapposti leggermente rientranti, secondo un modello che trova esempi nella coeva architettura militare.
In asse su ciascuna esedra si addossano al corpo centrale tre sacelli ottagonali, sempre di origine paleocristiana e che ne completavano la struttura, anche se probabilmente avevano funzioni differenti. Limitiamoci al Sant'Aquilino.
La cappella detta, a partire dal Medioevo, di
S. Aquilino (anticamente dedicata a S. Genesio) è stata costruita assieme all’atrio a forcipe che le fa da vestibolo sempre entro la metà del V secolo, ma con una tecnica muraria in parte differente da quella della chiesa vera e propria: questo sarebbe indizio di una cronologia leggermente posteriore rispetto al tetraconco; ciò non significa che l’edificio non facesse parte del progetto originario, ma solo che difficoltà varie (probabilmente riconducibili alla situazione politica e militare del tempo) hanno rallentato e forse interrotto per un certo tempo l’attività del cantiere. Le analisi al 14C svolte sui mattoni, poi, hanno rivelato che la parte superiore dell’ottagono, con la sua loggia, subì un restauro generale all’inizio del VII secolo, quindi già in età longobarda. La funzione originaria doveva essere quella di mausoleo, forse imperiale, forse destinato a un membro della casa teodosiana (Stilicone? Serena? Galla Placidia?): questa ipotesi potrebbe essere confermata dal materiali usato per i rivestimenti parietali, il porfido rosso, ora scomparso ma attestato da Giulino da Sangallo (che definisce S. Aquilino “tuto di porfido”). Al vestibolo si accede attraverso un sontuoso portale scolpito con motivi vegetali e scene di corsa nel circo, di età flavia, altro elemento che arricchiva questi spazi e ne accresceva il carattere monumentale. Lo spazio interno dell’ottagono era scompartito, nel livello inferiore, da nicchie alternatamente rettangolari e semicircolari, nel livello superiore da nicchie rettangolari finestrate e collegate da una galleria ricavata in spessore di muro. La cupola a padiglione è in mattoni e ha i rinfianchi colmati di anfore annegate nella malta, una soluzione tecnica già del sacello annesso a S. Simpliciano.
Le pareti del vestibolo erano ricoperte in basso di marmi, in alto di mosaici a fondo azzurro con teorie di personaggi biblici, apostoli e martiri su due livelli, inquadrati da paraste: ne restano scarsi resti, integrati da linee e profili sull’intonaco steso al momento della loro scoperta; l’interpretazione più probabile vede in queste figure una sorta di
vera Ecclesia. Anche il sacello ottagono aveva pavimenti e pareti ricoperti da marmi colorati: dagli scarsi resti scoperti in una delle nicchie si è potuto ricostruire che i motivi decorativi erano di tipo geometrico. Nei semicatini delle nicchie est ed ovest sopravvivono ampie tracce dei mosaici originari, raffiguranti Cristo docente fra gli apostoli, e una scena di difficile interpretazione (ascensione di Elia? Cristo/Sole che risveglia i pastori?). L’altissima qualità di questi mosaici, opera di maestranze di grande abilità, che hanno reso con spiccato senso naturalistico le figure e i paesaggi, fanno rimpiangere la perdita del resto del ciclo (che si estendeva anche alla cupola): in queste due raffigurazioni contrapposte sono state lette due metafore dell’alba (Cristo che risveglia i pastori) e del tramonto (immagine del paradiso). I confronti stilistici con i mosaici della basilica di S. Maria Maggiore a Roma (quarto decennio del V secolo), permettono di ipotizzare una cronologia entro il 450 circa. Negli spazi della galleria al primo livello rimangono frammenti di affreschi raffiguranti tarsie di marmi colorati: sono coevi all’edificio, e sembrerebbero una soluzione “a risparmio” rispetto ai più costosi sectilia.
Nicchia ovest, Cristo fra gli apostoli:
https://image.forumfree.it/5/1/0/4/3/1/3/1285837248.jpgNicchia est, Cristo-Sol Invictus:
https://image.forumfree.it/5/1/0/4/3/1/3/1285837249.jpg - particolare:
https://image.forumfree.it/5/1/0/4/3/1/3/1285837250.jpgResti nel vestibolo:
https://image.forumfree.it/5/1/0/4/3/1/3/1285837557.jpg -
https://image.forumfree.it/5/1/0/4/3/1/3/1285837558.jpgSarebbe interessante approfondire il discorso di massima circa iconografia, datazione, confronti stilistici.
Saluti,
Ermelinda
Attached Image: Pianta.jpg