CITAZIONE
Bhè, la questione del mantello, a mio parere, è significativa ma forse, non del tutto decisiva.
Ad es., a S. Donnino a Fidenza, la cosa è resa così :
Accidenti, devo dire che lo scultore di S. Donnino non dà proprio l'idea di sentirsi vincolato dalle iconografie canoniche!!
CITAZIONE
si nota la presenza di personaggi che sembrano disporre di piccone e vanga e che, per certi versi, potrebbero corrispondere ai pastori che si vedono nel mosaico; non solo: si notano anche immagini di animali (una lucertola ed una lumaca) che, per certi versi, potrebbero essere messi in analogia con gli animali che si vedono in S. Aquilino.
Devo ammettere che mi hai fatto venire nuovamente dei dubbi
In particolare, mi pare che molti artisti ignorino del tutto il particolare iconografico della calvizie di Eliseo: eppure è attributo di una certa valenza, non foss'altro che 42 ragazzini ci hanno rimesso la pelle per esso
Comunque, pur non essendo minimamente in grado di produrre certezze, ho come l'idea che ci sia qualcosa che non torna. Le similitudini tra la formella di S. Sabina e il mosaico di S. Aquilino mi sembrano più apparenti che reali. Il personaggio di sinistra è simile nei due lavori, ma non si può dire con certezza che a Roma sia un pastore, se non altro perché mancano le pecore. Se il suo atteggiamento poi mi pare già differente da quello dell'esempio milanese, certamente è assolutamente opposto il comportamento del personaggio sulla destra: a Milano si riposa placidamente, a Roma appare sconvolto e si copre la faccia per non vedere.
Anzi, visto che come hai opportunamento segnalato, la Scrittura è molto chiara nel segnalare che Elia ed Eliseo erano soli e si erano allontanati passando il Giordano, mi viene da pensare che questi due personaggi siano del tutto fuori contesto rispetto all'episodio. Non potrebbero allora riferirsi ad episodi diversi? Quello ha sinistra forse non ha una vanga, ma dato che ci si appoggia, un bastone. A destra, forse lo stesso bastone è a terra. Dato che mi pare proprio non voglia guardare, oltre ad essere prostrato, potrebbe trattarsi di Elia stesso: sul monte Oreb, prima turbato dal terremoto e poi al cospetto della presenza di Dio.
CITAZIONE
È sicuramente un'ipotesi un po' cervellotica, ma non abbiamo né dati sul resto della decorazione del sacello, né possibili confronti (se poi ne esistevano di precedenti). Se volete possiamo arrangiare una conclusione sul ciclo
La mia domanda si riferiva più che altro alla necessità di procedere in un modo piuttosto che un altro. Chiaramente, se pensavamo all'illustrazione di una predica o di un'idea di Ambrogio, conveniva cercare ancora all'interno della sua opera. Anche perché non dobbiamo dimenticarci che, qualunque cosa rappresenti la nostra lunetta, deve essere sempre logicamente collegata a quella che segue (ed anche a quelle che precedevano, le quali però sono andate perdute).
Datosi che l'Opera omnia ambrosiana è a portata di mano, ho provato a cercare ancora al suo interno. Avevo già scritto che il Commento Ambrosiano al Cantico dei Cantici è in realtà silloge, seppur fedele, realizzata da Guglielmo di Saint Therry nel XII secolo, di vari luoghi del grande vescovo milanese.
La similitudine tra la quadriga e l'anima di cui abbiamo parlato, è sviluppata più di una volta da Ambrogio (si presuppone dunque, che fosse argomento familiare all'orecchio dei fedeli e degli ecclesiastici meneghini), in particolare nel De Isaac vel anima e nel De virginitate.
Nel De Isaac si legge, a partire da 8,65: “Il nostro auriga, dunque è Cristo. Perciò l'anima dice: 'Mi fece come i carri di Aminadab'. L'anima è dunque un carro che porta un buon auriga”. Il buon auriga secondo Ambrogio, serve a “domare” i cavalli, che sono buoni (le virtù dell'anima) e cattivi (le passioni del corpo). Significativo, per legare il ragionamento alla lunetta è il passo: “E così si può, con una visione d'ordine spirituale, vedere ciascuna anima salire in cielo in una accanitissima gara, vedere i cavalli affrettarsi per essere i primi a giungere al premio di Cristo”. Poco più avanti troviamo il possibile “collegamento” alla situazione di Sant'Aquilino che citavo nel precedente intervento; il passo è a 8, 67: “Da tutto ciò devi capire che Cristo è salito anche su quest'anima e l'ha condotta al luogo della palma […] Corriamo dunque, per afferrare il premio; corriamo per vincere. Chi ha vinto è salito sulla palma e già ne mangia i frutti. Chi ha già vinto, ora non corre più, ma se ne sta seduto, come sta scritto: 'Colui che ha vinto, gli concederò di sedere insieme con me nel mio trono, come anch'io ho vinto e siedo con il Padre mio nel suo trono'.” Naturalmente qui sto pensando al senso logico di porre una lunetta sulla quale compare una quadriga in corsa prima di una dove è raffigurato “chi sta seduto” ovvero Cristo tra gli Apostoli in una dimensione celeste.
Questo accostamento mi pare possa avere una sua plausibilità, considerando anche la consequenzialità che pone lo stesso Ambrogio, che subito dopo dice testualmente “In base a questa dottrina i filosofi hanno illustrato nei loro libri quelle corse dei carri proprie delle anime”. Rimane certo che si tratta di una ricostruzione arbitraria di una parte di opera che non può contraddirci perché perduta nei suoi particolari (carro e auriga). Inoltre mancherebbe sempre la spiegazione di ciò che invece è conservato, ovvero la parte coi pastori.
Forse però, anche a questo riguardo, il De Isaac può suggerire qualche legame, seppur più flebile. Vediamo.
8.68: “Questa altezza l'ha conosciuta quell'anima in cui c'era il volgersi del verbo. Così infatti dice: 'Io sono del mio fratello e verso di me è il suo volgersi'. Ha ripetuto tre volte questo pensiero, in modo diverso, nel Cantico dei Cantici. All'inizio dice: 'Il mio fratello è mio ed io sono di lui; egli pascola tra i gigli fino a quando non spiri l'alito del giorno e non siano sgombrate le nuvole. E poi: Io sono del mio fratello e mio è il mio fratello che pascola tra i gigli'. Alla fine: 'Io sono del mio fratello, e verso di me è il suo volgersi'. La prima volta si riferisce all'istruzione dell'anima […], quello che segue è detto in relazione al progresso dell'anima, mentre il terzo passo riguarda la sua perfezione”. Diventa molto interessante il terzo passo, che Ambrogio descrive così: “Nel terzo passo, divenuta ormai perfetta, ella procura pace al Verbo dentro di sé, affinché Egli si volti verso di lei e reclini il capo e si riposi e, tenendo stretto come oggetto meritato Colui che prima aveva ricercato, ma non aveva potuto trovare, lo invita al suo campo e dice: 'Vieni fratello mio, usciamo nel campo, riposiamoci nei villaggi'. Dunque è proprio Ambrogio a porre il suo ragionamento sull'anima in un contesto bucolico e pastorale. A questo punto potremmo aggiungere che il pastore che si riposa guarda il ruscello dove beve la cerva, e sappiamo che questo, metaforicamente, indica Cristo dal quale scaturiscono sorgenti d'acqua viva, laddove il primo pastore non si capisce bene cosa faccia, ma sembra in effetti un po' confuso (Ambrogio: “Nel primo passo, quasi fosse tutt'ora nella fase della sua istruzione, l'anima vede ancora delle ombre, non ancora sgombrate dalla rivelazione del Verbo che si avvicina, e per questo a lei non splendeva ancora il giorno del Vangelo”); il terzo personaggio non sappiamo chi sia e cosa stia facendo, non è detto nemmeno che rientri nella metafora del pastore: segnalo solo, per completare, che Ambrogio, a proposito del secondo passo diceva: “l'anima gode di pii profumi senza più la confusione provocata dalle ombre”. A voler essere partigiani del nostro ragionamento, potremmo notare che le pecore sulla sinistra non bevono all'acqua ma sembrano più interessate, anzi quasi inebriate, del profumo dei fiori.
Come premesso, mentre la prima parte dell'ipotesi sta facilmente in piedi, la seconda è un po' traballante: prendetela come un ragionamento ad alta voce. Ad ogni modo il fatto che nel De Isaac si parli dell'anima come un carro retto da un buon auriga, che corre verso il regno di Dio, dove chi è giunto sta seduto, che si faccia riferimento a pastori che pascolano tra i gigli (pecore e fiori non mancano, anche se sono elementi abbastanza comuni nelle simbologie paleocristiana) e che si riposano, mi pare sia cosa da segnalare, quanto meno per il fatto che le altre ipotesi proposte o sono del tutto generiche (Cristo-Helios) o necessitano di forniture non minori (l'Ascensione di Elia).
Saluti
PS
Intervengo col modifica perché, continuando a leggere il De Isaac, mi viene da dire che se il personaggio al centro potesse essere identificato in un qualsiasi modo come ebraico (cosa che non mi sembrava, ma che ora, guardando i "colori sociali"
forse non è del tutto assurda), allora l'ipotesi comincerebbe a farsi davvero interessante.
Edited by MarcoSupersonic - 11/10/2010, 17:57